ANTONIO PELLEGRINI

24 Febbraio 2021 | Clarita Ferri

Antonio Pellegrini
Allenatore di Calciando Insieme della San Paolo Valeggio

NOME: Antonio  
COGNOME: Pellegrini
CLASSE: 1964
RESIDENZA: Sommacampagna
LAVORO: Pensionato
CARICA: Allenatore di Calciando Insieme
SPORT: Calcio

Antonio Pellegrini. 56 anni, giacca in pelle e sangue pugliese che scorre nelle vene. Nella San Paolo da circa 4 anni, Antonio è un ex carabiniere che ha sempre coltivato la passione per il calcio. Trent’anni di esperienza come allenatore alle spalle e un passato pieno di ricordi e di storie da raccontare: “educatore” oltre che allenatore. Volontario in un centro di sostegno per anziani e disabili, Antonio è una persona meravigliosa che, sempre con il sorriso e con una simpatia fuori dal comune, ci ricorda cos’è il calcio e cos’è lo sport. Un mondo che ruota attorno ad un’unica passione: quella per il pallone.

Antonio, che squadre hai allenato?
“Principalmente ragazzi dai 15 anni in giù. Ho iniziato con gli Esordienti a Sommacampagna per tre anni, poi mi sono spostato a Caselle, Peschiera, Castelnuovo, Corrubbio, Villafranca e Palazzolo. Ho girato parecchio. Da quest’anno alleno anche a Bussolengo. A Sommacampagna ho vinto il campionato nel ’92. Con il Caselle ho vinto la finale del torneo ‘Città di Verona’ al Bentegodi, una soddisfazione incredibile.”

Il corso si chiama “Calciando insieme”. Perché?
“Perché siamo un gruppo. Si fa tutto insieme, dall’inizio alla fine. Al momento alleno 18 bambini dai 4 ai 10 anni, nel campetto all’interno del Grest di Valeggio. L’anno scorso abbiamo anche iniziato un piccolo campionato, interrotto a causa del COVID.”

Sei molto simpatico e solare. Riesci a trasmettere tutta questa positività ai ragazzi?
“DEVI esserlo, se vuoi fare l’allenatore. Credo che i bambini debbano arrivare con il sorriso ed andare via con il sorriso. L’allenamento deve essere sfogo, spensieratezza, divertimento. I ragazzi seguono regole dalla mattina alla sera, a scuola e a casa, e quando arrivano in campo devono sentirsi liberi di esprimersi.”

Secondo te, come deve essere un allenatore?
“Un allenatore deve dare il buon esempio. Devi essere un ‘cattivo-non-cattivo’. Dopo tanti anni diventi psicologo, senza studiare. Vedi bambini che hanno alle spalle una situazione familiare complicata. E capisci subito. Capisci chi ha bisogno di affetto e chi, invece, di una ‘tirata d’orecchio’. Diventi il loro punto di riferimento e molto spesso ascoltano più te che i propri genitori. Quando crescono, poi, iniziano a farti domande di qualsiasi tipo. E a quel punto diventi per loro un fratello maggiore, uno zio, un amico, ciò di cui hanno bisogno. E le cose che mi confidano le tengo sempre per me.”

Com’è strutturato un tuo allenamento?
“Ci sono diversi fattori da considerare: la temperatura, il numero di bambini, l’ultima partita di campionato. Ogni allenamento non deve mai essere uguale a quello prima e bisogna comporre squadre equilibrate, per evitare prese in giro o insulti di qualche tipo. Se la partita del sabato è stata una sconfitta, li metto in cerchio e insieme ragioniamo sui motivi per cui abbiamo perso. Ma la cosa più importante è insegnare come ci si comporta in campo. Regola numero 1: l’arbitro ha sempre ragione. Ciò significa lingua fra i denti e nessuna parolaccia. Non voglio scarpate, spintoni, sputi o bestemmie. Siamo prima di tutto educatori, oltre che allenatori.”

Li bacchetti quando si prendono in giro? Ti ricordi qualche episodio in particolare?
“Sempre. La prima cosa che insegno è che il compagno non va deriso. Va aiutato. Una volta mi è capitato di vedere un mio bambino sputare contro un altro bambino. L’ho mandato subito in doccia e l’ho sospeso dagli allenamenti per due settimane. Al suo rientro, ha dovuto chiedere scusa davanti a tutti e solo in quel momento l’ho reintegrato nel gruppo.”

Com’è cambiato il calcio da quando eri più giovane?
“Prima si giocava con ‘marcatura a uomo’. Oggi si gioca “a zona”: 4-4-2, 3-4-2 e così via. Per quanto riguarda l’atteggiamento, invece, si stava zitti e si ascoltava il mister. Oggi i ragazzi si permettono di rispondere. La televisione, in questo senso, sta rovinando il mondo del calcio. Prima bastava uscire di casa, prendere un pallone e giocare, biondi contro castani. Ma quali casacche… bastava un pallone e qualche amico. Oggi i bambini mi chiedono quale marca di scarpe comprare, se Adidas o Nike. E io dico sempre che l’importante è divertirsi, anche con un paio di ciabatte addosso.”

Cosa ti piace di più del tuo sport?
“Il calcio è bello perché è di squadra. E la squadra nasce sotto la doccia. Se si vuole mandare a quel paese il mister (si parla di ragazzi più grandi, i piccoli non hanno ancora la malizia per fare certi commenti), di sicuro non glielo si dice in faccia. Sotto la doccia si piange, si ride, ci si confida e si creano legami.”

Oggi sei in pensione. Hai altre passioni oltre a questa?
“Faccio volontariato al centro ‘I Piosi’ di Sommacampagna, una cooperativa che offre aiuto alle persone anziane, disabili e alle loro famiglie. Una parola, una coccola, un abbraccio, un caffè offerto: tutto questo significa molto per chi è in difficoltà.”

Hai allenato anche ragazzi con disabilità? Come cambia il tuo approccio?
“Cambia tutto. Cerco sempre di spronarli e di farli sentire uguali agli altri. Ma è necessario capire fino a che punto spingersi e conoscere a fondo i limiti fisici dei propri allievi. In una partita, una volta, ho dato la fascia da capitano a 3 di loro, anche se il capitano, si sa, è uno solo. Ma indossare quella fascia li fa sentire come supereroi.”

Cosa pensi dello sport?
“Lo sport è salute e divertimento. Stare all’aria aperta, giocare con il caldo, con il freddo, con la pioggia e nel fango e arrivare a casa bello sporco (le mamme molto contente!): questo è il calcio, questo è lo sport.”                                              

Clarita Ferri 

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