Tommaso Piazza
Aiuto-allenatore di Atletica della San Paolo Valeggio
NOME: Tommaso
COGNOME: Piazza
CLASSE: 2001
RESIDENZA: Salionze
LAVORO: Studente
CARICA: Aiuto-allenatore di Atletica
SPORT: Atletica
Tommaso Piazza. Classe 2001: giovane, ma non inesperto. È il suo primo anno nella San Paolo e ha già ottenuto ottimi risultati con i nostri bambini. Informatica e tennis: un “nerd con la racchetta”. Un abbinamento insolito, ma originale. Ci fa capire che si possono amare i videogiochi, ma anche il movimento: la sua è una vita tutt’altro che sedentaria, che cela una bella carriera sportiva. Tommaso non si ferma davanti alle sconfitte: c’è un diavoletto competitivo sulla sua spalla che lo spinge sempre a continuare.
Tommaso, cosa studi?
“Ho frequentato il liceo scientifico presso l’istituto ‘Messedaglia’ di Verona. Questo è il mio primo anno di università: studio ingegneria a Padova. Sono sempre stato appassionato dalla matematica. I miei compagni la ritenevano noiosa, ma a me piaceva. Posso definirmi una specie di nerd: smanetto con i computer e sono attratto dalle automobili.”
Lo studio ti impegna molto tempo in questo periodo?
“È una questione di organizzazione. Alle superiori ero bravo, ma non molto metodico. Stavo attento in classe e riuscivo ad ottenere buoni voti senza studiare troppo. Ora sento la fatica (con le lezioni online mi distraggo spesso). Ma i primi esami sono andati bene.”
Cosa vuoi fare “da grande”?
“Anche se mi rendo conto che non riguarda l’ambito sportivo, mi piacerebbe lavorare nel mondo automobilistico. Le idee sono ancora vaghe, ma so di essere un tipo creativo e che lavoro molto bene da solo. Quando facevamo progetti di gruppo a scuola volevo che il lavoro fosse sempre fatto bene. Sto già valutando di frequentare il corso per diventare istruttore. È un lavoro molto gratificante, anche se non vorrei sacrificare la mia vita di giocatore.”
Com’è iniziata la tua carriera di atleta?
“Faccio sport da quando ero molto piccolo, quasi obbligato dai miei genitori: un paio d’anni di nuoto, un anno di karate e uno di atletica. Poi, come tutti i maschi, ho provato a giocare a calcio. Mi piaceva, ma ho sempre voluto intraprendere una carriera agonistica in uno sport individuale. Alle partite andavo controvoglia, perché non sopportavo il fatto che la squadra subisse gol senza che io potessi fare nulla. Oggi (e da 10 anni) gioco a tennis.”
Il tennis ti dà più soddisfazioni rispetto al calcio?
“Sì, ma anche più delusioni. Ti obbliga a scavare dentro te stesso, a metabolizzare le sconfitte (cosa che in una squadra riesci a fare meglio con l’aiuto dei tuoi compagni). Ma il tennis mi ha aiutato a capire cosa volevo dalla mia carriera sportiva. Ho pensato molte volte di smettere, ma non ho ancora mollato. Ogni estate mi iscrivo a qualche torneo regionale e ho disputato campionati a squadre under 18.”
Cosa ti ha spinto a continuare?
“Dopo ogni sconfitta c’erano due diavoletti dentro di me: uno che mi diceva di giocare la partita seguente e l’altro che diceva ‘non fa per te, torna ad allenarti e basta’. Il rendimento in partita non è lo stesso dell’allenamento e questa cosa è frustrante. È uno sport che richiede molta preparazione atletica e tanti sacrifici. Una cosa che mi ha fatto amare il tennis è il giusto bilanciamento tra movimento e tecnica nell’uso della racchetta.”
Cosa ti dà la carica giusta per giocare?
“A volte guardo qualche partita in diretta su YouTube. Poco fa guardavo gli Australian Open con atleti giovanissimi: vedere persone della mia età a così alti livelli è una delle cose che mi caricano di più. A volte seguo anche il calcio in tv e simpatizzo per la Lazio: una squadra poco ‘classica’, soprattutto in una famiglia di tifosi dell’Hellas.”
Sei uno sportivo anche fuori dal campo?
“A volte vado a giocare a calcio in parrocchia e tempo fa ho provato ad andare in palestra, ma non mi è piaciuto. Ero in quella fase dell’adolescenza in cui si parlava solo di muscoli e di come diventare forti. Oggi mi piace camminare.”
Oggi ti ritrovi ad essere anche un allenatore: come ti senti?
“Sono contento. Seguo i piccoli, dall’ultimo anno di asilo fino alla terza elementare. Gli altri istruttori mi hanno accolto bene e hanno cercato di trasmettermi insegnamenti su come trattare i ragazzi. A volte non serve essere troppo ‘tecnici’, ma più emotivi… spiegare le cose in modo che possano capire. Avendo seguito più volte il Grest, si trattava solo di lavorare in un contesto diverso e con l’aiuto di persone più esperte.”
Quali sono le tue sensazioni nel trasmettere qualcosa anziché recepirlo come atleta?
“Da allenatore capisci cose di cui non ti rendevi conto da giocatore, come per esempio la frustrazione di non riuscire a far mettere in pratica certi insegnamenti ai tuoi allievi. È importante conoscere le tecniche di uno sport, ma anche sapere in che modo trasmetterle.”
Percepisci qualche passo avanti in questa attività?
“Sto imparando molto su me stesso e sul modo di comunicare. A volte, più che allenatore, mi sento un ‘motivatore’. Incitando i bambini, mi sembra di sollevarli: se qualcuno arriva con il broncio e con una brutta giornata alle spalle, voglio distrarlo. E credo che questo sia uno dei valori più potenti dello sport: staccare la testa.”
Clarita Ferri